Leandro Giribaldi presenta, per la rassegna “Che cos’é il Cinema“
ORDET – LA PAROLA
(Ordet, 1955)
REGIA: Carl Theodor Dreyer
SOGGETTO: dall’omonimo dramma teatrale di Kaj Munk
SCENEGGIATURA: Carl Theodor Dreyer
FOTOGRAFIA: Henning Bendtsen
PRODUZIONE: Palladium Film
INTERPRETI: Henrik Malberg, Preben Lerdoff-Rye, Brigitte Federspiel
ORIGINE: Danimarca; DURATA: 124’
In una grande fattoria nello Jutland, Johannes (Lerdoff-Rye), che ha fatto studi di teologia, si trova in uno stato di esaltazione mistica e si crede il Cristo risorto. Il patriarca Borgen (Malberg) cerca di tenere unita la famiglia, scossa dalle tensioni: mentre la cognata (Federspiel) di Johannes è incinta, il fratello più giovane vuole fidanzarsi con una ragazza proveniente dalla famiglia di una setta protestante rivale.
Dreyer torna ai temi della follia e della comunione con il divino, già esplorati in Giovanna d’Arco.
Gli ultimi vent’anni della sua vita furono assorbiti dal tentativo di realizzare un grandioso progetto su Gesù, mai andato in porto. Tuttavia in Ordet (1955) il pazzo Johannes (Lendorff Rye si era ispirato ad un malato di mente ricoverato in un manicomio) si comporta e parla come fosse il Cristo redivivo, nello sconforto e nella derisione del padre e dei fratelli.
Dreyer è stato senz’altro un innovatore, uno sperimentatore e un regista difficile che ha grandemente influenzato registi successivi, come Bergman: “Non rimpiango le mie creazioni, preferisco essere un innovatore piuttosto che un seguace.” E in Ordet, dal ritmo lento e ipnotico, ogni inquadratura è un capolavoro dove i bianchi brillano di quello splendore leggermente irreale che, diceva Ejzenstejn, illumina lo schermo.
“I buoni film recano l’effige dell’immortalità, come i buoni libri. Così i film migliori svolgeranno il ruolo di documenti preziosi attraverso i secoli” diceva Dreyer e, benché non si riferisse ai suoi film, questa dichiarazione rappresenta benissimo Ordet, ovvero il miracolo del cinema, semplicemente.
L. Giribaldi