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IL SEPOLCRO INDIANO giovedì 29 agosto ore 21:30


Leandro Giribaldi presenta, per la rassegna “Fritz Lang ritorno in Europa

IL SEPOLCRO INDIANO

(Das Indische Grabmal, 1959)

REGIA: Fritz Lang

SOGGETTO: Thea von Harbou

SCENEGGIATURA: Fritz Lang, Werner Jorg Luddecke

FOTOGRAFIA: Richard Angst

MUSICA: Gerhard Becker

PRODUZIONE: Regina Production, Rizzoli Film, Central Cinema Company Film

INTERPRETI: Debra Paget, Paul Hubschmid, Walter Reyer

ORIGINE: GERMANIA OVEST/ITALIA/FRANCIA; DURATA: 101′

Dopo la rocambolesca fuga dalla reggia di Chandra, una tempesta di sabbia ha sorpreso i due amanti Seetha (Paget) e Berger (Hubschmid) nel deserto. I due vengono soccorsi da una carovana di mercanti. Nel frattempo l’architetto Rhode, maestro di Berger, riceve dal Marajà (Reyer) l’equivoco incarico di costruire uno sfarzoso sepolcro per la sua amata e infedele Seetha. Ma Chandra è all’oscuro di una congiura di palazzo a capo della quale c’è suo fratello maggiore, che ambisce a riprendersi il trono.

Il sepolcro indiano è il seguito perfetto de La tigre di Eschnapur:i due film fanno parte di un dittico perché furono girati come un unico film e poi divisi in due parti per ragioni distributive. La visione indiana di Lang, in un soggetto avventuroso alla Salgari, è intrisa di romanticismo onirico (tale era l’ispirazione della von Harbou, autrice del soggetto originario, che aveva realmente sognato la storia).

E lo stile di Lang, affinato in vent’anni di sintesi hollywoodiane, sfiora la perfezione geometrica, fino ad arrivare all’astrazione. Questo non toglie niente alla sensualità di certe scene, come la danza di Seetha con il cobra, che in Italia fu tagliata perché giudicata troppo osé. I due film furono un grande successo di pubblico, ma certa critica europea rimase sconcertata. Senza parlare di quello che successe negli Stati Uniti: “L’hanno massacrato. Ciascuna delle due parti durava un’ora e quaranta e qui il distributore le ha riunite insieme, ricavandone un film unico di un’ora e mezzo. Può immaginare il risultato.” (F. Lang a P. Bogdanovich).

L. Giribaldi


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