Leandro Giribaldi presenta, per la rassegna “Che cos’é il Cinema“
LA VEDOVA ALLEGRA (The Merry Widow, 1934)
REGIA: Ernst Lubitsch
SOGGETTO: dall’operetta Die Lustige Witwe di Franz Lehar
SCENEGGIATURA: Ernst Vajda, Samson Raphaelson
FOTOGRAFIA: Oliver T. Marsh
MUSICA: Franz Lehar
PRODUZIONE: Metro Goldwyn Mayer
INTERPRETI: Jeannette MacDonald, Maurice Chevalier, Edward Everett Horton
ORIGINE: USA; DURATA: 99’
Anno 1885: nell’immaginario regno balcanico di Marshovia il fatuo conte Danilo (Chevalier) fa invano la corte alla bella vedova Sonia (MacDonald), la donna più ricca del minuscolo paese.
Quando Sonia, stanca di portare il lutto, decide di partire per Parigi, il re e la diplomazia di Marshovia entrano in fibrillazione perché temono che la vedova, risposandosi, porti all’estero le sue ricchezze, condannando il regno alla bancarotta.
Dopo la corrosiva versione diretta da von Stroheim nel 1925, anche Lubitsch, con tutt’altri intenti e risultati, si cimenta nel 1934 con la celebre operetta di Lehar. Dal 1929 – anno del suo primo film sonoro – Lubitsch ha già diretto quattro film musicali (Il principe consorte, L’allegro tenente, Montecarlo, Un’ora con te) e il genere del film-operetta, del quale è maestro indiscusso, sembra in fase di esaurimento.
Ma la sua Vedova allegra è un capolavoro di leggerezza, di charme, di eccellenza fotografica e scenografica (Guido Fink parlò del più bel film a colori della storia del cinema, nonostante sia in bianco e nero!) nel quale il suo famoso “touch” sembra aver raggiunto una sfavillante maturità, con una traccia di malinconia che si farà strada anche nei film successivi.
Nella favola utopistica de La vedova allegra il gioco delle allusioni e delle ellissi è un girotondo vorticoso e malizioso che coinvolge amori e colori (con i neri che diventano bianchi, cagnolini compresi), dove i valzer volteggiano su pavimenti alla Matisse e dove anche l’happy-end è una splendida – coercitiva – cinematografica finzione.
L. Giribaldi